A volte ho l’impressione che, se Jimi Hendrix oggi fosse vivo e suonasse un po’ con questo pedale, un sorriso gli si stamperebbe sul volto. Perché quelle atmosfere misteriose ed inquietanti generate dai pedali univibe e rese famose dalla sua interpretazione di Star Splanged Banner a Woodstock o da David Gilmour in Breathe sono semplicemente irresistibili.
L'originale Uni-Vibe, costruito dalla giapponese Shin-ei alla fine del 1960 per emulare l’effetto doppler di un leslie speaker, è considerato il punto di riferimento della maggior parte dei pedali di modulazione. L’effetto originale, che comprende anche un pedale separato, è però troppo ingombrante per gli standard attuali e manca di molti “comfort” moderni come il true bypass.
Oggi ci sono un discreto numero costruttori di pedali boutique che mirano a ricreare quei suoni pulsanti e vorticosi tipici del primo Uni-Vibe. Alcuni sono riusciti ad avvicinarsi davvero molto a quelle timbriche, mantenendone spesso però le dimensioni esagerate per una pedalboard, altri invece non hanno avuto molto successo. Infatti è estremamente difficile sviluppare fotocellule che si adattino bene ai pedali univibe e solo poche aziende sono state in grado di riuscirci. Le fotocellule infatti sono un po’ come l’occhio umano: nell’adattarsi al passaggio dal buio alla luce, o viceversa, ci mettono un po’ di tempo. Questo fenomeno è conosciuto con il nome di effetto memoria o abbagliamento delle fotocellule e non è sempre della stessa entità da una fotocellula all’altra. E’ per questo che gli univibe potrebbero sembrare un po’ diversi da un giorno all’altro e che differiscono così tanto da un’azienda all’altra. Anzi, talvolta, perfino due modelli di uno stesso produttore potrebbero avere un suono leggermente differente.
Alcuni marchi però sono riusciti a ridurre al minimo questo effetto.
I costruttori croati della DryBell, Zvonch e Kruno, dopo quattro anni di intenso lavoro hanno messo a punto il Vibe Machine V-1 che permette realmente di richiamare le sonorità classiche dell’Uni-Vibe originale e di catturarne tutta la sua magia. Questo grazie ad un sistema di produzione e di test delle fotocellule che, con l’utilizzo di tre processori che controllano diciotto parametri, permette di selezionare fotocellule pressoché identiche tra loro, ottenendo ottimi risultati in termini di qualità e abbreviando notevolmente i tempi di produzione.
Il tutto in un piccolo formato MXR, davvero “pedalboard-friendly”, che non contrasta con la vasta gamma di espressioni che il DryBell è in grado di fornire e con la sua qualità sonora: eccelle infatti in calore, profondità ed autenticità.
L'originale Uni-Vibe, costruito dalla giapponese Shin-ei alla fine del 1960 per emulare l’effetto doppler di un leslie speaker, è considerato il punto di riferimento della maggior parte dei pedali di modulazione. L’effetto originale, che comprende anche un pedale separato, è però troppo ingombrante per gli standard attuali e manca di molti “comfort” moderni come il true bypass.
Oggi ci sono un discreto numero costruttori di pedali boutique che mirano a ricreare quei suoni pulsanti e vorticosi tipici del primo Uni-Vibe. Alcuni sono riusciti ad avvicinarsi davvero molto a quelle timbriche, mantenendone spesso però le dimensioni esagerate per una pedalboard, altri invece non hanno avuto molto successo. Infatti è estremamente difficile sviluppare fotocellule che si adattino bene ai pedali univibe e solo poche aziende sono state in grado di riuscirci. Le fotocellule infatti sono un po’ come l’occhio umano: nell’adattarsi al passaggio dal buio alla luce, o viceversa, ci mettono un po’ di tempo. Questo fenomeno è conosciuto con il nome di effetto memoria o abbagliamento delle fotocellule e non è sempre della stessa entità da una fotocellula all’altra. E’ per questo che gli univibe potrebbero sembrare un po’ diversi da un giorno all’altro e che differiscono così tanto da un’azienda all’altra. Anzi, talvolta, perfino due modelli di uno stesso produttore potrebbero avere un suono leggermente differente.
Alcuni marchi però sono riusciti a ridurre al minimo questo effetto.
I costruttori croati della DryBell, Zvonch e Kruno, dopo quattro anni di intenso lavoro hanno messo a punto il Vibe Machine V-1 che permette realmente di richiamare le sonorità classiche dell’Uni-Vibe originale e di catturarne tutta la sua magia. Questo grazie ad un sistema di produzione e di test delle fotocellule che, con l’utilizzo di tre processori che controllano diciotto parametri, permette di selezionare fotocellule pressoché identiche tra loro, ottenendo ottimi risultati in termini di qualità e abbreviando notevolmente i tempi di produzione.
Il tutto in un piccolo formato MXR, davvero “pedalboard-friendly”, che non contrasta con la vasta gamma di espressioni che il DryBell è in grado di fornire e con la sua qualità sonora: eccelle infatti in calore, profondità ed autenticità.
Il pedale è alimentato da un classico trasformatore a 9V ed è munito di uno switch true bypass con led pulsante.
I due pomelli principali controllano l’intensità e la velocità. Un mini interruttore consente di selezionare la modalità vibrato o la più familiare modalità chorus. Un secondo interruttore permette di passare dalla modalità original, che produce gli stessi suoni lo-fi caratteristici dell'originale Uni-Vibe, a quella bright che, grazie ad una maggiore impedenza di ingresso, rende il suono più brillante e crea un tono più dinamico.
Sui lati, oltre alle prese di input e di output e all’ingresso per un pedale di espressione che possa controllare separatamente la velocità, ci sono tre trimmers che consentono di regolare la simmetria, il range e il volume (che può essere ridotto fino a 4dB).
All'interno del pedale ci sono due jumper. Uno permette al V-1 di passare, tramite il pedale di espressione, da una velocità ad all’altra in modo graduale e non lineare, proprio come si comporterebbe un vero leslie speaker. L’altro permette di attivare il buffer di uscita, passando dalla modalità output unbuffered, come quella dell’originale Uni-Vibe, a quella buffered, utile se si utilizzano numerosi pedali o cavi molto lunghi che possono aumentare i fruscii e ronzii indesiderati.
Molte di queste funzioni non verranno neanche mai utilizzate; eppure è bello sapere di avere tutte queste opzioni a disposizione.
Quando si attacca la chitarra al DryBell in modalità chorus si viene avvolti da atmosfere profonde e vorticose, ricche di armoniche che danno la sensazione di tridimensionalità. Il suono è caldo, ma limpido e pulito, “gommoso” ma brillante, così che anche quando si suonano le note più basse non si hai mai la sensazione di intorbidamento; allo stesso modo quando si suonano le note più acute il suono non esce mai metallico o sottile. Il V-1 riesce anche a rimanere perfettamente equilibrato anche impostando la velocità sui valori più elevati.
In particolare l'impostazione con l'intensità circa a mezzogiorno ci riporta alle tonalità Hendrixiane. Se poi si aggiunge subido dopo un fuzz, beh, allora sì è proprio sulla buona strada per Woodstock!
Il Vibe Machine mi è piaciuto anche nell'impostazione vibrato, che rende questo pedale ancora più flessibile nel raggiungimento di un’ampia varietà di toni, seppure non ci si deve aspettare il tremolo degli amplificatori Fender.
A volte, per acquistare questo pedale, c’è una lista di attesa, e il perché si capisce nel momento in cui lo si collega alla propria chitarra.
Unico difetto? Il DryBell Vibe Machine non è a buon mercato: costa circa 300 euro.
I due pomelli principali controllano l’intensità e la velocità. Un mini interruttore consente di selezionare la modalità vibrato o la più familiare modalità chorus. Un secondo interruttore permette di passare dalla modalità original, che produce gli stessi suoni lo-fi caratteristici dell'originale Uni-Vibe, a quella bright che, grazie ad una maggiore impedenza di ingresso, rende il suono più brillante e crea un tono più dinamico.
Sui lati, oltre alle prese di input e di output e all’ingresso per un pedale di espressione che possa controllare separatamente la velocità, ci sono tre trimmers che consentono di regolare la simmetria, il range e il volume (che può essere ridotto fino a 4dB).
All'interno del pedale ci sono due jumper. Uno permette al V-1 di passare, tramite il pedale di espressione, da una velocità ad all’altra in modo graduale e non lineare, proprio come si comporterebbe un vero leslie speaker. L’altro permette di attivare il buffer di uscita, passando dalla modalità output unbuffered, come quella dell’originale Uni-Vibe, a quella buffered, utile se si utilizzano numerosi pedali o cavi molto lunghi che possono aumentare i fruscii e ronzii indesiderati.
Molte di queste funzioni non verranno neanche mai utilizzate; eppure è bello sapere di avere tutte queste opzioni a disposizione.
Quando si attacca la chitarra al DryBell in modalità chorus si viene avvolti da atmosfere profonde e vorticose, ricche di armoniche che danno la sensazione di tridimensionalità. Il suono è caldo, ma limpido e pulito, “gommoso” ma brillante, così che anche quando si suonano le note più basse non si hai mai la sensazione di intorbidamento; allo stesso modo quando si suonano le note più acute il suono non esce mai metallico o sottile. Il V-1 riesce anche a rimanere perfettamente equilibrato anche impostando la velocità sui valori più elevati.
In particolare l'impostazione con l'intensità circa a mezzogiorno ci riporta alle tonalità Hendrixiane. Se poi si aggiunge subido dopo un fuzz, beh, allora sì è proprio sulla buona strada per Woodstock!
Il Vibe Machine mi è piaciuto anche nell'impostazione vibrato, che rende questo pedale ancora più flessibile nel raggiungimento di un’ampia varietà di toni, seppure non ci si deve aspettare il tremolo degli amplificatori Fender.
A volte, per acquistare questo pedale, c’è una lista di attesa, e il perché si capisce nel momento in cui lo si collega alla propria chitarra.
Unico difetto? Il DryBell Vibe Machine non è a buon mercato: costa circa 300 euro.
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