Se non vi siete mai collegati ad un amplificatore “alla vecchia maniera”, senza il master volume, e non ne avete mai spinto le valvole finali fino alla saturazione sentendone il calore e la “botta” d’aria uscire dalle casse, allora vi siete persi una gran fetta del rock.
Nel 1988 la Marshall introdusse le sue prime reissues e, un anno più tardi, venne presentato anche il 2245, la riedizione del JTM45, il primo amplificatore che Marshall, Bran, Craven, Flegg e Findlay costruirono nei primi anni '60.
Nonostante il suo suono sia l’emblema dello storico british crunch, il 2245 non è il JTM45 degli anni ‘60 e non ne avrà mai lo stesso identico sound; non lo è perché in quegli anni la richiesta di amplificatori era notevolmente inferiore a quella attuale e le testate erano costruite una alla volta a mano, con i materiali dell’epoca ovviamente diversi da quelli che attualmente si possono reperire. Tra l'altro anche negli anni '60 non esistevano due JTM45 che suonavano allo stesso modo perché spesso i componenti variavano da un amplificatore all'altro. Oggi, inoltre, esistono importanti vincoli burocratici e di sicurezza sulla produzione, perciò non ci deve sorprendere troppo la differenza tra il 2245 e l'originale; anzi, proprio a causa di un inasprimento di queste normative, le prime reissues vennero ritirate nel 2001 in tutti i paesi ad eccezione degli U.S.A. e del Giappone, per poi essere reintrodotte nel 2002.
Tuttavia, per rendere il suono del 2245 il più vicino possibile a quello originale, è stato utilizzato, nei tempi moderni, lo stesso circuito del JTM45 (ma su PCB).
Le valvole preamplificatrici sono tre 12AX7 (ECC83), mentre come finali sono state scelte due 6L6 (5881) e non le famose KT66, dal momento che queste non erano disponibili in quantità sufficiente a soddisfare la produzione della reissue. Inoltre non va dimenticato che, in realtà, le prime valvole finali montate sui primissimi JTM45 degli anni '60 furono proprio le 6L6 e non, come spesso si crede, le KT66, che vennero invece impiegate solo in un secondo momento.
I trasformatori sono i Dagnall, come quelli degli altri Marshall attuali: il D2505 come trasformatore di uscita e il D4192 di alimentazione, mentre il choke è il D2475. Forse la scelta migliore sarebbe stata quella dei trasformatori Mercury Magnetics, un'azienda che riproduce i celebri Drake utilizzati nei JTM45 del '66 e i Radiospares impiegati nelle prime testate.
Una valvola rettificatrice GZ34 aiuta a ricreare la compressione e il sustain che hanno reso famoso questo amplificatore nel passato.
Collegando una Les Paul a questo amplificatore ci si tuffa totalmente in un territorio che sa di Free, Led Zeppelin e dei primi AC/DC, fino ad arrivare a distorsioni più spinte alla Slash.
Nel JTM45 si riconosce in pieno il “Marshall sound” degli anni ’60, è adatto al blues, al rock, ma, dal mio punto di vista, con una Stratocaster è dà il meglio nei puliti. È come se questo amplificatore inglobasse il suono della chitarra, lo analizzasse attraverso una serie di filtri e lenti e lo restituisse indietro con l’aggiunta di un po’ di colore qui e una messa a fuoco lì, ma senza trasformarne mai il suono in qualcosa di diverso. Questo vuol dire anche che si sente ogni errore, ma al tempo stesso il JTM45 ti premia con una dolcezza di suono tale che tutto sembra più facile. Ovviamente non è l'amplificatore adatto a shredder e chitarristi heavy metal.
Sul pannello frontale in plexiglas dorato ci sono le quattro entrate per i due canali (due ingressi ad alta sensibilità, due a bassa), gli switch di accensione e stand-by, i controlli di presenza, bassi, medi, alti e i volumi di ciascun canale. Sì, è vero, nel pannello posteriore non c’è il loop effetti, ma non c'era neanche nell'originale! E in ogni caso il JTM45 prende molto bene i pedali se messi di fronte all’ampli.
Entrambi i canali suonano benissimo: il primo più brillante, aspro e tagliente, dalla gran botta e con i bassi ben strutturati. Il secondo canale è invece decisamente più scuro, pieno e cupo e si adatta molto bene ai fuzz più aspri e alle distorsioni più spinte. C’è qualcosa di magico, però, che accade quando si sfrutta il vecchio trucco di “linkare” i due canali con un patch cable: se si riesce a trovare il corretto equilibrio tra i due canali, il suono diventa decisamente più bilanciato ed armonico.
Ovviamente, come per tutti gli amplificatori di quell'epoca, i suoni migliorano di gran lunga girando la manopola del volume: tutti gli angoli della stanza, infatti, si riempiono di un overdrive che inizialmente sporca e colora solo leggermente il suono, per poi trasformarsi gradualmente il quel “british crunch” che rese famoso il JTM45: non troppo aggressivo, ma decisamente rock, sporco al punto giusto e leggermente impastato sui bassi.
Il wattaggio si attesta intorno ai 30 watt, ma non ci si deve ingannare, sono 30 watt molto rumorosi: non è il classico amplificatore da appartamento. La sua potenza si sente sempre, anche se è molto controllabile, diversa da quella degli altri amplificatori. Entra nel mix come un coltello taglierebbe una fetta di burro caldo.
Per concludere, la reissue non è il JTM45 degli anni '60, ma ha un suono proprio che lo ricalca molto bene. Bisogna essere orgogliosi di possederne una, non importa se le valvole sono diverse, se i trasformatori e le resistenze non sono quelli di una volta. L’importante è attaccare la chitarra, accenderlo e assaporarne il suono, dimenticando cosa c’è dentro.
Nel 1988 la Marshall introdusse le sue prime reissues e, un anno più tardi, venne presentato anche il 2245, la riedizione del JTM45, il primo amplificatore che Marshall, Bran, Craven, Flegg e Findlay costruirono nei primi anni '60.
Nonostante il suo suono sia l’emblema dello storico british crunch, il 2245 non è il JTM45 degli anni ‘60 e non ne avrà mai lo stesso identico sound; non lo è perché in quegli anni la richiesta di amplificatori era notevolmente inferiore a quella attuale e le testate erano costruite una alla volta a mano, con i materiali dell’epoca ovviamente diversi da quelli che attualmente si possono reperire. Tra l'altro anche negli anni '60 non esistevano due JTM45 che suonavano allo stesso modo perché spesso i componenti variavano da un amplificatore all'altro. Oggi, inoltre, esistono importanti vincoli burocratici e di sicurezza sulla produzione, perciò non ci deve sorprendere troppo la differenza tra il 2245 e l'originale; anzi, proprio a causa di un inasprimento di queste normative, le prime reissues vennero ritirate nel 2001 in tutti i paesi ad eccezione degli U.S.A. e del Giappone, per poi essere reintrodotte nel 2002.
Tuttavia, per rendere il suono del 2245 il più vicino possibile a quello originale, è stato utilizzato, nei tempi moderni, lo stesso circuito del JTM45 (ma su PCB).
Le valvole preamplificatrici sono tre 12AX7 (ECC83), mentre come finali sono state scelte due 6L6 (5881) e non le famose KT66, dal momento che queste non erano disponibili in quantità sufficiente a soddisfare la produzione della reissue. Inoltre non va dimenticato che, in realtà, le prime valvole finali montate sui primissimi JTM45 degli anni '60 furono proprio le 6L6 e non, come spesso si crede, le KT66, che vennero invece impiegate solo in un secondo momento.
I trasformatori sono i Dagnall, come quelli degli altri Marshall attuali: il D2505 come trasformatore di uscita e il D4192 di alimentazione, mentre il choke è il D2475. Forse la scelta migliore sarebbe stata quella dei trasformatori Mercury Magnetics, un'azienda che riproduce i celebri Drake utilizzati nei JTM45 del '66 e i Radiospares impiegati nelle prime testate.
Una valvola rettificatrice GZ34 aiuta a ricreare la compressione e il sustain che hanno reso famoso questo amplificatore nel passato.
Collegando una Les Paul a questo amplificatore ci si tuffa totalmente in un territorio che sa di Free, Led Zeppelin e dei primi AC/DC, fino ad arrivare a distorsioni più spinte alla Slash.
Nel JTM45 si riconosce in pieno il “Marshall sound” degli anni ’60, è adatto al blues, al rock, ma, dal mio punto di vista, con una Stratocaster è dà il meglio nei puliti. È come se questo amplificatore inglobasse il suono della chitarra, lo analizzasse attraverso una serie di filtri e lenti e lo restituisse indietro con l’aggiunta di un po’ di colore qui e una messa a fuoco lì, ma senza trasformarne mai il suono in qualcosa di diverso. Questo vuol dire anche che si sente ogni errore, ma al tempo stesso il JTM45 ti premia con una dolcezza di suono tale che tutto sembra più facile. Ovviamente non è l'amplificatore adatto a shredder e chitarristi heavy metal.
Sul pannello frontale in plexiglas dorato ci sono le quattro entrate per i due canali (due ingressi ad alta sensibilità, due a bassa), gli switch di accensione e stand-by, i controlli di presenza, bassi, medi, alti e i volumi di ciascun canale. Sì, è vero, nel pannello posteriore non c’è il loop effetti, ma non c'era neanche nell'originale! E in ogni caso il JTM45 prende molto bene i pedali se messi di fronte all’ampli.
Entrambi i canali suonano benissimo: il primo più brillante, aspro e tagliente, dalla gran botta e con i bassi ben strutturati. Il secondo canale è invece decisamente più scuro, pieno e cupo e si adatta molto bene ai fuzz più aspri e alle distorsioni più spinte. C’è qualcosa di magico, però, che accade quando si sfrutta il vecchio trucco di “linkare” i due canali con un patch cable: se si riesce a trovare il corretto equilibrio tra i due canali, il suono diventa decisamente più bilanciato ed armonico.
Ovviamente, come per tutti gli amplificatori di quell'epoca, i suoni migliorano di gran lunga girando la manopola del volume: tutti gli angoli della stanza, infatti, si riempiono di un overdrive che inizialmente sporca e colora solo leggermente il suono, per poi trasformarsi gradualmente il quel “british crunch” che rese famoso il JTM45: non troppo aggressivo, ma decisamente rock, sporco al punto giusto e leggermente impastato sui bassi.
Il wattaggio si attesta intorno ai 30 watt, ma non ci si deve ingannare, sono 30 watt molto rumorosi: non è il classico amplificatore da appartamento. La sua potenza si sente sempre, anche se è molto controllabile, diversa da quella degli altri amplificatori. Entra nel mix come un coltello taglierebbe una fetta di burro caldo.
Per concludere, la reissue non è il JTM45 degli anni '60, ma ha un suono proprio che lo ricalca molto bene. Bisogna essere orgogliosi di possederne una, non importa se le valvole sono diverse, se i trasformatori e le resistenze non sono quelli di una volta. L’importante è attaccare la chitarra, accenderlo e assaporarne il suono, dimenticando cosa c’è dentro.
Modifiche
Dal punto di vista estetico ho eliminato il classico "script logo" Marshall bianco per sostituirlo con il più datato "block logo" dorato e ho cambiato il led squadrato con uno arrotondato che ricorda quello dei primi JTM45. Ho rivalvolato la testata inizialmente con le Electro-Harmonics 6L6GC, successivamente con due TAD KT66. Non credo che una soluzione sia migliore rispetto all'altra, entrambe le valvole suonano benissimo con questo amplificatore, ma le KT66 ne "ingrossano" il suono rendendolo più caratteristico. Restiamo tuttavia nel campo dei gusti e delle sfumature.
Costantino Amici di Costalab mi ha montato un controllo Master Volume che può essere attivato o disattivato tramite uno switch posto sul pannello posteriore, in modo da poter utilizzare più facilmente la saturazione delle valvole finali; tuttavia continuo a preferire il suono del JTM45 "puro".
Costantino Amici di Costalab mi ha montato un controllo Master Volume che può essere attivato o disattivato tramite uno switch posto sul pannello posteriore, in modo da poter utilizzare più facilmente la saturazione delle valvole finali; tuttavia continuo a preferire il suono del JTM45 "puro".
Cassa e altoparlanti
Uso questa testata associata una cassa Marshall 1960AHW, il cui telaio in multistrato di betulla è rivestito di black tolex nero e sul cui pannello frontale spicca il “salt ‘n’ pepper” grill cloth. I quattro altoparlanti Celestion G12H 30, della serie Heritage made in England, si combinano benissimo con il JTM45, specialmente sui puliti. Se si cerca il suono dei Greenbacks questo sono gli speaker giusti. Tuttavia ho dovuto optare per una coppia di Scumback M75 per ridurre il numero di altoparlanti e dimezzare il volume. Ovviamente, per lasciare la cassa chiusa, ho "tappato" i buchi restanti con due pannelli circolari in legno, costruiti e montati da Costantino Amici. Gli M75 sembrano fatti apposta per il JTM45, enfatizzando, senza strafare, le frequenze medie come dovrebbero fare dei veri e propri Greenbacks ed esaltando il carattere blues-rock della testata.
Gli altoparlanti per chitarra Scumback rappresentano una scommessa: quella di ricreare le sonorità dei Celestion Greenbacks Pre-Rola. Il suo inventore e proprietario, Jim Seavall, un tipo molto disponibile e prodigo in consigli su quale speaker si adatti meglio alla propria strumentazione e ai propri gusti, ha studiato per circa 12 anni più di 500 Pre-Rola con l’obiettivo di catturarne i segreti.
Inizialmente i suoi speakers venivano assemblati dalla Weber seguendo, ovviamente, i suoi dettami. Dalla metà del 2011 è però la stessa Scumback a costruire i propri altoparlanti in una piccola fabbrica in California.
Ora Jim offre un’ampia scelta di modelli, che spaziano dai 25 ai 100 watt, dai magneti ceramici M e H e da quelli J (che sono una via di mezzo tra i primi due) ad uno anche in alnico. Ci sono le classiche varianti a 55Hz o 75Hz e a 16 o 8 ohm; in più i modelli LD, caratterizzati da un largo Dust Cup, e quelli PVC (Paper Voice Coil) che imitano i primissimi Greenbacks.
Il telaio dell’M75 è, nel rispetto della tradizione Greenback, ad otto viti. Tuttavia, nonostante l’obiettivo dichiarato, se è vero il detto “Tone is in the cone”, l’assenza dei pulsonic cones negli M75 (impiegati comunque, secondo quanto dichiarato da Jim, in altri altoparlanti), li potrebbe allontanare dalle sonorità Pre-Rola. Ma gli M75 montano i famosi coni Kurt Mueller, trattati e lavorati dalla Scumback per raggiungere un midrange ricco e bilanciato e per diminuirne gli alti. In più è possibile scegliere l’opzione F.B.I. (Factory Break In), un trattamento che permette di replicare circa 50 ore di rodaggio a volume elevati.
Gli altoparlanti per chitarra Scumback rappresentano una scommessa: quella di ricreare le sonorità dei Celestion Greenbacks Pre-Rola. Il suo inventore e proprietario, Jim Seavall, un tipo molto disponibile e prodigo in consigli su quale speaker si adatti meglio alla propria strumentazione e ai propri gusti, ha studiato per circa 12 anni più di 500 Pre-Rola con l’obiettivo di catturarne i segreti.
Inizialmente i suoi speakers venivano assemblati dalla Weber seguendo, ovviamente, i suoi dettami. Dalla metà del 2011 è però la stessa Scumback a costruire i propri altoparlanti in una piccola fabbrica in California.
Ora Jim offre un’ampia scelta di modelli, che spaziano dai 25 ai 100 watt, dai magneti ceramici M e H e da quelli J (che sono una via di mezzo tra i primi due) ad uno anche in alnico. Ci sono le classiche varianti a 55Hz o 75Hz e a 16 o 8 ohm; in più i modelli LD, caratterizzati da un largo Dust Cup, e quelli PVC (Paper Voice Coil) che imitano i primissimi Greenbacks.
Il telaio dell’M75 è, nel rispetto della tradizione Greenback, ad otto viti. Tuttavia, nonostante l’obiettivo dichiarato, se è vero il detto “Tone is in the cone”, l’assenza dei pulsonic cones negli M75 (impiegati comunque, secondo quanto dichiarato da Jim, in altri altoparlanti), li potrebbe allontanare dalle sonorità Pre-Rola. Ma gli M75 montano i famosi coni Kurt Mueller, trattati e lavorati dalla Scumback per raggiungere un midrange ricco e bilanciato e per diminuirne gli alti. In più è possibile scegliere l’opzione F.B.I. (Factory Break In), un trattamento che permette di replicare circa 50 ore di rodaggio a volume elevati.
Per chi vuole saperne di più sulla storia di questo leggendario amplificatore:
Storia dell Marshall e dei suoi primi amplificatori
Storia dell Marshall e dei suoi primi amplificatori