L'origine delle Signature
Fin dall'inizio della sua storia, la Fender mostrò nei suoi cataloghi tantissimi musicisti con le loro Jaguar, Piggyback o chitarre steel, ma, a differenza dei suoi competitor più importanti, fino alla fine degli anni '80 non aveva mai fabbricato nessuna Signature. Infatti Mary Kaye era un semplice soprannome che indicava tutte le Stratocaster blonde con l'hardware dorato, mentre la Stratocaster del 1980 dalla paletta rovesciata ispirata a Jimi Hendrix apparve solo un decennio dopo la morte del leggendario chitarrista, e quindi più che una signature era da considerarsi un tributo.
La Fender, infatti, non voleva lanciarsi in un progetto "signature", poiché era convinta che sarebbe stato un fallimento: infatti l'unica signature riuscita era la Gibson Les Paul perché i chitarristi spesso ignoravano che esistesse un musicista chiamato Les Paul; inoltre l'abitudine di molti negozi di strumenti musicali che rimuovevano il nome "Joni Mitchell" dalla sua Ibanez per aumentarne le vendite rafforzava ancora di più questa convinzione. Che cosa portò, quindi, la Fender a intraprendere questo progetto?
Una delle prime cose che Dan Smith fece quando entrò nella Fender nel 1981 fu mettersi in contatto John Hill, un dipendente inglese che lavorava nel Brand Marketing e che conosceva tutti i chitarristi più importanti del Regno Unito. John aveva provato ripetutamente a convincere l'ex capo della Fender, Ed Llewellyn, che questi pezzi di legno a sei corde erano strumenti con cui i chitarristi avevano un forte rapporto emotivo. Quando John McLaren, nuovo presidente della CBS Musical Instruments, sostituì Llewellyn con Bill Schultz, portò un con sé un gruppo di persone provenienti dalla Yamaha, tra cui Dan Smith, e formalizzò il rapporto con John Hill, estendendo il suo mandato ad Artist Relations and Brand Director del marchio di Fender in Europa.
Fino a questo momento la Fender aveva sempre lasciato la gestione dei rapporti con gli artisti al reparto vendite. Per rendere l'idea, Tappy Wright telefonava al reparto vendite Fender e chiedeva se poteva ritirare sei Stratocaster al Manny's; fu Al Dutton, che lavorava per Jeff Beck, che chiamò il Fender Sales per ritirare tre Stratocaster al Manny's, in modo da creare una buona Stratocaster assemblata che Jeff usò a New York, restituendo le altre due. Fu Don Randall, responsabile delle vendite Fender, che andò a Londra per incontrare Brian Epstein dopo che i Beatles fecero le loro prime apparizioni televisive all'Ed Sullivan Show, ma senza uno strumento Fender in vista sul palco.
La Fender, infatti, non voleva lanciarsi in un progetto "signature", poiché era convinta che sarebbe stato un fallimento: infatti l'unica signature riuscita era la Gibson Les Paul perché i chitarristi spesso ignoravano che esistesse un musicista chiamato Les Paul; inoltre l'abitudine di molti negozi di strumenti musicali che rimuovevano il nome "Joni Mitchell" dalla sua Ibanez per aumentarne le vendite rafforzava ancora di più questa convinzione. Che cosa portò, quindi, la Fender a intraprendere questo progetto?
Una delle prime cose che Dan Smith fece quando entrò nella Fender nel 1981 fu mettersi in contatto John Hill, un dipendente inglese che lavorava nel Brand Marketing e che conosceva tutti i chitarristi più importanti del Regno Unito. John aveva provato ripetutamente a convincere l'ex capo della Fender, Ed Llewellyn, che questi pezzi di legno a sei corde erano strumenti con cui i chitarristi avevano un forte rapporto emotivo. Quando John McLaren, nuovo presidente della CBS Musical Instruments, sostituì Llewellyn con Bill Schultz, portò un con sé un gruppo di persone provenienti dalla Yamaha, tra cui Dan Smith, e formalizzò il rapporto con John Hill, estendendo il suo mandato ad Artist Relations and Brand Director del marchio di Fender in Europa.
Fino a questo momento la Fender aveva sempre lasciato la gestione dei rapporti con gli artisti al reparto vendite. Per rendere l'idea, Tappy Wright telefonava al reparto vendite Fender e chiedeva se poteva ritirare sei Stratocaster al Manny's; fu Al Dutton, che lavorava per Jeff Beck, che chiamò il Fender Sales per ritirare tre Stratocaster al Manny's, in modo da creare una buona Stratocaster assemblata che Jeff usò a New York, restituendo le altre due. Fu Don Randall, responsabile delle vendite Fender, che andò a Londra per incontrare Brian Epstein dopo che i Beatles fecero le loro prime apparizioni televisive all'Ed Sullivan Show, ma senza uno strumento Fender in vista sul palco.
John McLaren, inglese di nascita, fu inizialmente sorpreso quando scoprì che Hill lavorava già da molti anni per l'azienda statunitense dall'Inghilterra, perché credeva di essere stato il primo britannico a lavorare a livello aziendale per il più grande marchio di chitarre del mondo, e decise che Hill riferisse direttamente a Dan e Bill.
Dan Smith chiese a John Hill chi pensava fossero i chitarristi Fender più influenti nella scena musicale del momento, e John rispose senza esitare: David Gilmour, Eric Clapton, Jeff Beck, Jimmy Page, Ritchie Blackmore, Pete Townshend, Keith Richards, George Harrison, Andy Summers, Mark Knopfler, Hank Marvin, Dave Evans (The Edge), Richard Thompson, Johnny Marr, Steve Hackett, Steve Howe, Dave Murray, John McLaughlin, Alan Holdsworth, Stuart Adamson e Alan Murphy. Dan specificò allora che non intendeva i più influenti nel Regno Unito, intendeva i più influenti nel mondo! Ma John ribadì: «I meant in the world! They just happen to be all from Great Britain (including The Edge) and I know all of them and have been supplying them with shirts and hats, pickups and parts, backup guitars, amps, oh and freebies to use in win a guitar competition promotional campaigns»!
In quel periodo la reputazione della Fender era ai minimi storici, dopo un decennio di sfruttamento del marchio da parte della CBS, che non investì nulla nel controllo di qualità o in nuove tecnologie, e i chitarristi avevano perso l'interesse verso gli strumenti fabbricati a Fullerton. Le chitarre Fender contemporanee sembravano non poter reggere il confronto con gli altri marchi: Gilmour suonava Fender vintage e Steinberger, Clapton Fender vintage e Giffin, Beck e Murray le Jackson. Inoltre, la Fender aveva una qualità onestamente inferiore rispetto agli altri brand a causa dei macchinari antiquati ed usurati, ed era essenzialmente in competizione con il proprio mercato dell'usato, che era migliore e più economico! Quindi John Hill, come Artist Relations and Brand Director, doveva fare in modo che "Fender" significasse di nuovo qualcosa per i più grandi chitarristi del mondo, per le etichette discografiche, per i roadies e per i tecnici e, soprattutto, per i manager. Non si potevano più commettere errori. Non sarebbe stato facile ribaltare la reputazione del marchio e riportare in vita la Fender ma, «If anyone could do it», dichiarò Hill, «Dan Smith could do it, he had so many great ideas, he was focused and his guitar knowledge was unsurpassed».
La nuova Fender post-CBS aveva bisogno urgente d'introiti. Era necessario un "rebranding": rilanciarsi creando un forte legame emotivo tra la Fender e i chitarristi, ricordando i musicisti che avevano fatto la storia della musica con le loro Fender pre-CBS che avrebbero continuato a suonare le nuove e altrettanto eccellenti Fender post-CBS. Non a caso una delle primissime pubblicità della signature Eric Clapton, lo strumento con il quale fu inaugurata questa serie, apparsa sulla rivista Rolling Stone, recitava: "There's only one Eric Clapton... And there's only one Fender".
Dan Smith chiese a John Hill chi pensava fossero i chitarristi Fender più influenti nella scena musicale del momento, e John rispose senza esitare: David Gilmour, Eric Clapton, Jeff Beck, Jimmy Page, Ritchie Blackmore, Pete Townshend, Keith Richards, George Harrison, Andy Summers, Mark Knopfler, Hank Marvin, Dave Evans (The Edge), Richard Thompson, Johnny Marr, Steve Hackett, Steve Howe, Dave Murray, John McLaughlin, Alan Holdsworth, Stuart Adamson e Alan Murphy. Dan specificò allora che non intendeva i più influenti nel Regno Unito, intendeva i più influenti nel mondo! Ma John ribadì: «I meant in the world! They just happen to be all from Great Britain (including The Edge) and I know all of them and have been supplying them with shirts and hats, pickups and parts, backup guitars, amps, oh and freebies to use in win a guitar competition promotional campaigns»!
In quel periodo la reputazione della Fender era ai minimi storici, dopo un decennio di sfruttamento del marchio da parte della CBS, che non investì nulla nel controllo di qualità o in nuove tecnologie, e i chitarristi avevano perso l'interesse verso gli strumenti fabbricati a Fullerton. Le chitarre Fender contemporanee sembravano non poter reggere il confronto con gli altri marchi: Gilmour suonava Fender vintage e Steinberger, Clapton Fender vintage e Giffin, Beck e Murray le Jackson. Inoltre, la Fender aveva una qualità onestamente inferiore rispetto agli altri brand a causa dei macchinari antiquati ed usurati, ed era essenzialmente in competizione con il proprio mercato dell'usato, che era migliore e più economico! Quindi John Hill, come Artist Relations and Brand Director, doveva fare in modo che "Fender" significasse di nuovo qualcosa per i più grandi chitarristi del mondo, per le etichette discografiche, per i roadies e per i tecnici e, soprattutto, per i manager. Non si potevano più commettere errori. Non sarebbe stato facile ribaltare la reputazione del marchio e riportare in vita la Fender ma, «If anyone could do it», dichiarò Hill, «Dan Smith could do it, he had so many great ideas, he was focused and his guitar knowledge was unsurpassed».
La nuova Fender post-CBS aveva bisogno urgente d'introiti. Era necessario un "rebranding": rilanciarsi creando un forte legame emotivo tra la Fender e i chitarristi, ricordando i musicisti che avevano fatto la storia della musica con le loro Fender pre-CBS che avrebbero continuato a suonare le nuove e altrettanto eccellenti Fender post-CBS. Non a caso una delle primissime pubblicità della signature Eric Clapton, lo strumento con il quale fu inaugurata questa serie, apparsa sulla rivista Rolling Stone, recitava: "There's only one Eric Clapton... And there's only one Fender".
La pubblicità simbolo del rebranding Fender, apparsa sulla rivista Rolling Stone, come enfatizzato dal titolo "There really is only one Eric Clapton and there really is only one Fender". Questo annuncio era stato ideato da Joe Phelps e Roger Forrester (il manager di Eric) con John Hill come intermediario (Photo courtesy of John Hill)
Il concetto iniziale era quello di offrire a ciascuno dei chitarristi del "Britpack" di John una chitarra custom e un "clone" di uno dei loro strumenti più importanti, una "Iconic Guitar", in modo che potessero mettere da parte la loro preziosa Fender pre-CBS e sostituirla con le nuove chitarre fatte su misura, che rappresentavano il meglio che la Fender potesse offrire. Fu per questo - con l'intenzione di dare il via al clone project - che John prese la "Woodstock Strat" da Mitch Mitchell e Blackie da Roger Forrester.
L'idea si è poi tramutata in Signature durante le negoziazioni con il manager di Clapton, Roger Forrester, per il contratto di endorsment che avrebbe consentito alla Fender di utilizzare il nome e l'immagine di Eric. Tuttavia, durante le trattative, Roger chiese se la Fender potesse realizzare più esemplari della chitarra custom disegnata per Eric, in modo che potessero regalarle agli amici di Clapton, come Ian Botham e Pete Townshend. John Hill ebbe quindi l'idea di produrre la chitarra custom su larga scala in modo da renderla disponibile a tutti. All'inizio Dan Smith e Bill Schultz non furono entusiasti perché pensavano che vendere le stesse chitarre usate dagli artisti come "signature" fosse una cosa "da Gibson". Inoltre, nel 1985, la produzione della Fender era ferma e non c'era ancora il Custom Shop. Tuttavia John insistette e mostrò a Roger Forrester, Bill Schultz e Dan Smith l'advert che aveva fatto su Stewart Copeland dei Police. Alla fine tutti furono d'accordo e dissero: «let's put it in the contract», in modo che, eventualmente, avrebbero potuto fare qualcosa di simile in futuro, qualora la macchina produttiva Fender avesse ripreso a funzionare. Le Signature nacquero così, fondendo l'idea delle chitarre custom per gli artisti più importanti con quella dell'Iconic Series del nascente Clones Project.
L'idea si è poi tramutata in Signature durante le negoziazioni con il manager di Clapton, Roger Forrester, per il contratto di endorsment che avrebbe consentito alla Fender di utilizzare il nome e l'immagine di Eric. Tuttavia, durante le trattative, Roger chiese se la Fender potesse realizzare più esemplari della chitarra custom disegnata per Eric, in modo che potessero regalarle agli amici di Clapton, come Ian Botham e Pete Townshend. John Hill ebbe quindi l'idea di produrre la chitarra custom su larga scala in modo da renderla disponibile a tutti. All'inizio Dan Smith e Bill Schultz non furono entusiasti perché pensavano che vendere le stesse chitarre usate dagli artisti come "signature" fosse una cosa "da Gibson". Inoltre, nel 1985, la produzione della Fender era ferma e non c'era ancora il Custom Shop. Tuttavia John insistette e mostrò a Roger Forrester, Bill Schultz e Dan Smith l'advert che aveva fatto su Stewart Copeland dei Police. Alla fine tutti furono d'accordo e dissero: «let's put it in the contract», in modo che, eventualmente, avrebbero potuto fare qualcosa di simile in futuro, qualora la macchina produttiva Fender avesse ripreso a funzionare. Le Signature nacquero così, fondendo l'idea delle chitarre custom per gli artisti più importanti con quella dell'Iconic Series del nascente Clones Project.
Inizialmente le Signature comprendevano sia strumenti factory, sia Custom Shop, come la Robert Cray Stratocaster. Tuttavia, verso la fine degli anni '90, la Fender iniziò a distinguere le signature in Artist Series (per un po' di tempo chiamata Artist Signature Series) e Custom Artist Series, a seconda che fossero factory o Custom Shop.
Signature o Tribute?
Le Signature sono strumenti progettati in collaborazione con i musicisti, che ne hanno stabilito le specifiche insieme alla Fender. Quindi queste chitarre non sono cloni delle chitarre usate dagli artisti.
Negli anni '90 la Fender iniziò ad usare anche il termine Tribute riferendosi sia ad alcune chitarre del Custom Shop, come le Telecaster Merle Haggard e Waylon Jennings, sia ad alcune factory, come la Jimi Hendrix Stratocaster del 1997.
A differenza delle Signature (o Artist), che erano chitarre disegnate seguendo specifiche suggerite da musicisti "in vita", le Tribute erano inizialmente chitarre dedicate a musicisti ormai defunti; tuttavia il suo significato fu presto esteso anche alle repliche di chitarre che, in mano ad artisti ancora in vita, avevano segnato la storia della Fender, come quelle della Blackie (2006) e della Brownie (2013) di Eric Clapton o della Black One di John Mayer (2010).
A volte le Tribute potevano essere semplici riproduzioni di chitarre stock del passato, come la Mary Kaye Tribute Stratocaster (2005), altre erano ispirate a strumenti fortemente modificati dal chitarrista, come la Number One e la Lenny di Stevie Ray Vaughan (2004-2007), la Stratocaster di Rory Gallagher (2004) o la "Play Loud" di Malmsteen (2008).
Per rendere "il mojo" di questi strumenti e per meglio accostarli all'artista, la Fender spesso accompagnava alla chitarra specifici road case, CD, DVD, certificati, foto, libri o poster. Di solito erano realizzate a tiratura bassa, sotto i cento esemplari, potevano nascere dalle mani di un singolo Master Builder o dalla collaborazione di più di uno e in genere erano vendute tutte in uno o due giorni.
Il prezzo di queste tribute era decisamente elevato, ma i guadagni della Fender, in proporzione, non erano così importanti, se venivano considerate le spese di un extra-planning, dei viaggi per incontrare i possessori delle chitarre originali, le ore impiegate ad analizzare lo strumento e a documentare tutto e, a volte, perfino il tempo necessario a perfezionare le tecniche di produzione. Secondo Mike Eldred addirittura l'artista o la sua famiglia guadagnavano di più della Fender sulle vendite di una Tribute.
Negli anni '90 la Fender iniziò ad usare anche il termine Tribute riferendosi sia ad alcune chitarre del Custom Shop, come le Telecaster Merle Haggard e Waylon Jennings, sia ad alcune factory, come la Jimi Hendrix Stratocaster del 1997.
A differenza delle Signature (o Artist), che erano chitarre disegnate seguendo specifiche suggerite da musicisti "in vita", le Tribute erano inizialmente chitarre dedicate a musicisti ormai defunti; tuttavia il suo significato fu presto esteso anche alle repliche di chitarre che, in mano ad artisti ancora in vita, avevano segnato la storia della Fender, come quelle della Blackie (2006) e della Brownie (2013) di Eric Clapton o della Black One di John Mayer (2010).
A volte le Tribute potevano essere semplici riproduzioni di chitarre stock del passato, come la Mary Kaye Tribute Stratocaster (2005), altre erano ispirate a strumenti fortemente modificati dal chitarrista, come la Number One e la Lenny di Stevie Ray Vaughan (2004-2007), la Stratocaster di Rory Gallagher (2004) o la "Play Loud" di Malmsteen (2008).
Per rendere "il mojo" di questi strumenti e per meglio accostarli all'artista, la Fender spesso accompagnava alla chitarra specifici road case, CD, DVD, certificati, foto, libri o poster. Di solito erano realizzate a tiratura bassa, sotto i cento esemplari, potevano nascere dalle mani di un singolo Master Builder o dalla collaborazione di più di uno e in genere erano vendute tutte in uno o due giorni.
Il prezzo di queste tribute era decisamente elevato, ma i guadagni della Fender, in proporzione, non erano così importanti, se venivano considerate le spese di un extra-planning, dei viaggi per incontrare i possessori delle chitarre originali, le ore impiegate ad analizzare lo strumento e a documentare tutto e, a volte, perfino il tempo necessario a perfezionare le tecniche di produzione. Secondo Mike Eldred addirittura l'artista o la sua famiglia guadagnavano di più della Fender sulle vendite di una Tribute.
- Eric Clapton e la nascita delle signature
- Yngwie Malmsteen, la Play Loud e il made in Japan
- Alex Gregory
- Robert Cray
- Jeff Beck
- Hank Marvin, la prima Stratocaster del Regno Unito e le signature
- La Number One di Stevie Ray Vaughan, Lenny, le signature e la tribute Stratocaster
- La Stratocaster di Bill Carson e la Custom Shop
- La Richie Sambora
- Dick Dale
- Jimmie Vaughan
- Ritchie Blackmore
- La Stratocaster di Rory Gallagher e la sua tribute
- Eric Johnson
- John Mayer
- Black Strat, White Strat e la David Gilmour Signature Stratocaster
- Pete Townshend
- Jimi Hendrix
- Mary Kaye
- Freddie Tavares
- Le Stratocaster dei guitar hero giapponesi: Michiya Haruata e Ken