
Fin dall'inizio della sua storia, la Fender mostrò nei suoi cataloghi tantissimi musicisti con le loro Jaguar, Piggyback o chitarre steel, ma, a differenza dei suoi competitor più importanti, fino alla fine degli anni '80 non aveva mai fabbricato nessuna Signature. Infatti Mary Kaye era un semplice soprannome che indicava tutte le Stratocaster blonde con l'hardware dorato, mentre la Stratocaster del 1980 dalla paletta rovesciata ispirata a Jimi Hendrix apparve solo un decennio dopo la morte del leggendario chitarrista, e quindi più che una signature era da considerarsi un tributo.
La Fender, infatti, non voleva lanciarsi in un progetto signature, poiché era convinta che sarebbe stato un fallimento: infatti l'unica signature riuscita era la Gibson Les Paul perché i chitarristi spesso ignoravano che esistesse un musicista chiamato Les Paul; inoltre l'abitudine di molti negozi di strumenti musicali che rimuovevano il nome "Joni Mitchell" dalla sua Ibanez per aumentarne le vendite rafforzava ancora di più questa convinzione. Che cosa portò, quindi, la Fender a intraprendere questo progetto? La nuova Fender post-CBS aveva bisogno urgente d'introiti. Era necessario un "rebranding": rilanciarsi creando un forte legame emotivo tra la Fender e i chitarristi, ricordando i musicisti che avevano fatto la storia della musica con le loro Fender pre-CBS che avrebbero continuato a suonare le nuove e altrettanto eccellenti Fender post-CBS. Non a caso una delle primissime pubblicità della signature Eric Clapton, lo strumento con il quale fu inaugurata questa serie, apparsa sulla rivista Rolling Stone, recitava: "There's only one Eric Clapton... And there's only one Fender".
Il concetto iniziale, che poi divenne "signature", era quello di creare una "Iconic Series" con cui proporre delle riproduzioni degli strumenti storici e con cui ringraziare un gruppo di musicisti britannici che avevano aiutato la Fender diventare probabilmente il marchio più importante nel campo delle chitarre elettriche, tra cui David Gilmour, Jeff Beck, Eric Clapton, Mark Knopfler, Jimmy Page, Hank Marvin, Johnny Marr, Andy Summers, Steve Howe, Sting, George Harrison, Dave Murray e Pete Townshend.
La Fender, infatti, non voleva lanciarsi in un progetto signature, poiché era convinta che sarebbe stato un fallimento: infatti l'unica signature riuscita era la Gibson Les Paul perché i chitarristi spesso ignoravano che esistesse un musicista chiamato Les Paul; inoltre l'abitudine di molti negozi di strumenti musicali che rimuovevano il nome "Joni Mitchell" dalla sua Ibanez per aumentarne le vendite rafforzava ancora di più questa convinzione. Che cosa portò, quindi, la Fender a intraprendere questo progetto? La nuova Fender post-CBS aveva bisogno urgente d'introiti. Era necessario un "rebranding": rilanciarsi creando un forte legame emotivo tra la Fender e i chitarristi, ricordando i musicisti che avevano fatto la storia della musica con le loro Fender pre-CBS che avrebbero continuato a suonare le nuove e altrettanto eccellenti Fender post-CBS. Non a caso una delle primissime pubblicità della signature Eric Clapton, lo strumento con il quale fu inaugurata questa serie, apparsa sulla rivista Rolling Stone, recitava: "There's only one Eric Clapton... And there's only one Fender".
Il concetto iniziale, che poi divenne "signature", era quello di creare una "Iconic Series" con cui proporre delle riproduzioni degli strumenti storici e con cui ringraziare un gruppo di musicisti britannici che avevano aiutato la Fender diventare probabilmente il marchio più importante nel campo delle chitarre elettriche, tra cui David Gilmour, Jeff Beck, Eric Clapton, Mark Knopfler, Jimmy Page, Hank Marvin, Johnny Marr, Andy Summers, Steve Howe, Sting, George Harrison, Dave Murray e Pete Townshend.
Le Artist e le Custom Artist
In poco tempo si arrivò al concetto di Signature, strumenti disegnati in collaborazione con i musicisti ai quali la chitarra era dedicata, che suggerivano le specifiche delle Fender che avrebbero portato il loro nome.
In realtà la prima signature doveva essere quella di Jeff Beck. Ma la Fender aveva urgente bisogno di 22 milioni di dollari per costruire la fabbrica di Corona, per cui iniziò il progetto con Eric Clapton, il chitarrista più conosciuto al mondo.
Inizialmente le Signature comprendevano sia strumenti factory, sia Custom Shop, come la Robert Cray Stratocaster. Tuttavia, verso la fine degli anni '90, la Fender inizò a distinguere le signature in Artist Series (per un po' di tempo chiamata Artist Signature Series) e Custom Artist Series, a seconda che fossero factory o Custom Shop.
In realtà la prima signature doveva essere quella di Jeff Beck. Ma la Fender aveva urgente bisogno di 22 milioni di dollari per costruire la fabbrica di Corona, per cui iniziò il progetto con Eric Clapton, il chitarrista più conosciuto al mondo.
Inizialmente le Signature comprendevano sia strumenti factory, sia Custom Shop, come la Robert Cray Stratocaster. Tuttavia, verso la fine degli anni '90, la Fender inizò a distinguere le signature in Artist Series (per un po' di tempo chiamata Artist Signature Series) e Custom Artist Series, a seconda che fossero factory o Custom Shop.
Le Tribute
Negli anni '90 la Fender iniziò ad usare anche il termine Tribute riferendosi sia ad alcune chitarre del Custom Shop, come le Telecaster Merle Haggard e Waylon Jennings, sia ad alcune factory, come la Jimi Hendrix Stratocaster del 1997.
A differenza delle Signature (o Artist), che erano chitarre disegnate seguendo specifiche suggerite da musicisti "in vita", le Tribute erano inizialmente chitarre dedicate a musicisti ormai defunti; tuttavia il suo significato fu presto esteso anche alle repliche di chitarre che, in mano ad artisti ancora in vita, avevano segnato la storia della Fender, come quelle della Blackie (2006) e della Brownie (2013) di Eric Clapton o della Black One di David Mayer (2010).
A volte le Tribute potevano essere semplici riproduzioni di chitarre stock del passato, come la Mary Kaye Tribute Stratocaster (2005), altre erano ispirate a strumenti fortemente modificati dal chitarrista, come la Number One e la Lenny di Stevie Ray Vaughan (2004-2007), la Stratocaster di Rory Gallagher (2004) o la "Play Loud" di Malmsteen (2008).
Per rendere "il mojo" di questi strumenti e per meglio accostarli all'artista, la Fender spesso accompagnava alla chitarra specifici road case, CD, DVD, certificati, foto, libri o poster. Di solito erano realizzate a tiratura bassa, sotto i cento esemplari, potevano nascere dalle mani di un singolo Master Builder o dalla collaborazione di più di uno e in genere erano vendute tutte in uno o due giorni.
Il prezzo di queste tribute era decisamente elevato, ma i guadagni della Fender, in proporzione, non erano così importanti, se venivano considerate le spese di un extra-planning, dei viaggi per incontrare i possessori delle chitarre originali, le ore impiegate ad analizzare lo strumento e a documentare tutto e, a volte, perfino il tempo necessario a perfezionare le tecniche di produzione. Secondo Mike Eldred addirittura l'artista o la sua famiglia guadagnavano di più della Fender sulle vendite di una Tribute.
A differenza delle Signature (o Artist), che erano chitarre disegnate seguendo specifiche suggerite da musicisti "in vita", le Tribute erano inizialmente chitarre dedicate a musicisti ormai defunti; tuttavia il suo significato fu presto esteso anche alle repliche di chitarre che, in mano ad artisti ancora in vita, avevano segnato la storia della Fender, come quelle della Blackie (2006) e della Brownie (2013) di Eric Clapton o della Black One di David Mayer (2010).
A volte le Tribute potevano essere semplici riproduzioni di chitarre stock del passato, come la Mary Kaye Tribute Stratocaster (2005), altre erano ispirate a strumenti fortemente modificati dal chitarrista, come la Number One e la Lenny di Stevie Ray Vaughan (2004-2007), la Stratocaster di Rory Gallagher (2004) o la "Play Loud" di Malmsteen (2008).
Per rendere "il mojo" di questi strumenti e per meglio accostarli all'artista, la Fender spesso accompagnava alla chitarra specifici road case, CD, DVD, certificati, foto, libri o poster. Di solito erano realizzate a tiratura bassa, sotto i cento esemplari, potevano nascere dalle mani di un singolo Master Builder o dalla collaborazione di più di uno e in genere erano vendute tutte in uno o due giorni.
Il prezzo di queste tribute era decisamente elevato, ma i guadagni della Fender, in proporzione, non erano così importanti, se venivano considerate le spese di un extra-planning, dei viaggi per incontrare i possessori delle chitarre originali, le ore impiegate ad analizzare lo strumento e a documentare tutto e, a volte, perfino il tempo necessario a perfezionare le tecniche di produzione. Secondo Mike Eldred addirittura l'artista o la sua famiglia guadagnavano di più della Fender sulle vendite di una Tribute.
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